giovedì 13 giugno 2013

Errando per Genova...


E così scappo via.
 
Riempio lo zaino di belinate e scappo via a vagabondare in quest’assurdo teatrino di cartapesta. A volte immagino di incontrare qualcuno dei nostri aguzzini, altre di scoprire un’impossibile via di uscita. Chissà? Ancora finzioni, ancora utopiche illusioni.
Non ho mai una meta precisa, lascio che sia il caso a decidere per me. Alla ricerca di qualcosa che ancora non ho compreso. In questo peregrinare zingaro mi sento un po’ come i protagonisti di “Amici miei”. Io, l’auto e il mio fedele zaino. Copia del mio indistruttibile Invicta compagno di mille e più avventure. All’interno poche cose: una pistola, rigorosamente scarica, un pallone di cuoio, una macchina fotografica e un binocolo. Tutto qua. Non ho bisogno di altro. Sembra il corredo di un adolescente rivoluzionario. Armi per combattere un nemico invisibile e oggetti per divertirsi, dove il divertimento non c’e’ più.
Mi inoltro nelle fungose e sepolcrali viuzze della città vecchia alla ricerca di luoghi, strade e pertugi che, per quanto possa sembrare assurdo, non ho mai calpestato né visto. La fretta a volte, la paura di perdermi o semplicemente di fare brutti incontri. Vicoli, crêuze, chiese e palazzi medievali. La mia personale cartina del centro storico non conosce più - o quasi - luoghi non visitati. Alla ricerca di niente, sfiorando pericolosamente l’atteggiamento monomaniaco di chi, prima di morire, voglia calpestare con i propri piedi ogni luogo della terra. Può anche essere. I primi passi verso una perniciosa follia.

A volte sbatto in chiese di cui neanche sospettavo l’esistenza. Fuse in muri di pietra, incastrate in case e palazzi, neanche intuisci che esistono finché non ci sbatti dentro. Annunciate da labili indizi rivelatori che solo l’iniziato o l’esperto archeologo possono decifrare annusando l’aria attorno. Non importa quanto siano belle, importanti o riccamente adornate. E’ l’emozione della scoperta che ti fa battere il cuore, facendoti sentire come Howard Carter, l’egittologo britannico che scoprì per primo la tomba di Tutankhamon. Sulla soglia indugio per lunghi minuti, come se attendessi di entrare in sintonia con l’essenza stessa del luogo prima di accedervi purificato. La decompressione dell’ateo che si avvicina, profano, al sacro. Non sono qui per pregare, né per implorare pietà o aiuto. Pur avendo ricevuto tutti i sacri sacramenti della Chiesa Cattolica, non pratico da anni e non vedo perché dovrei farlo proprio ora, ostentando un inutile quanto sterile e ipocrita devozione. Intendiamoci, non sono mai stato un baciapile, né intendo convertirmi a un simile culto. Mi stupisco perfino di essermi lasciato sfiorare dal solo pensiero.
Figurarsi, non ricordo più neanche una preghiera, né saprei a chi rivolgerla, né perché poi. Quando mi sento pronto, entro, ma è un entrare furtivo, quasi avessi paura di disturbare una liturgia che non va più in onda da giorni. Qui il silenzio è più cupo che fuori, ma almeno è un silenzio naturale. Un silenzio a cui sono - ero - abituato. Ciò nonostante mi muovo cauto per non disturbare quest’armonia che perfino un cigolio delle scarpe o un colpo di tosse potrebbe rovinare. Rimango in fondo in una mezza via tra il far finta di concentrarmi per pregare e l’ammirazione per i capolavori d’arte religiosa, incastonati in uno sfacelo brunito da troppa fuliggine. Quindi esco a riveder la luce. Vagamente rinfrancato da questa scoperta che sa di cattedrale nel deserto o di oasi perduta.
 
(to be continued)
 
Avviso per i Blognauti:
Questo brano tratto dal diario che il protagonista (Andrea) inizia a scrivere nella Terza Parte di Mutamenti. E' solo un piccolo estratto, scelto in modo da rivelare poco o nulla a chi (sfortunello) non ha ancora avuto l'onore di leggere il magnificentissimo libro di "memedesimoFabioGhionipropriomestesso"...
 

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