domenica 15 dicembre 2013

Presentazione ufficiale del Fanta-Thriller dell'anno...

Sabato 
21 alle ore 17
Siete tutti invitati 
alla presentazione ufficiale 
di Mutamenti presso MarassiLIbri
la libreria più IN di Via Casata Centuriona 31r




Accorrete numerosi...



sabato 7 dicembre 2013

LE PROVE

Mutamenti finalmente arriva a MarassiLibri...

Ecco le prove fotografiche strappate da un satellite spia della Nasa...

Tra Beppe Morelli (argh) e Papa Francesco (pover'uomo) ecco lì che si distingue la manona di Mutamenti...


Non la vedete? Ecco allora l'ingrandimento...


E all'interno no?
Uff... come siete noiosi...
Ecco qui...
Sezione Fanta-Thriller appositamente creata dalla brava libraia (alias Natascia Mameli)...



Quindi?
Che fate ancora qui a leggere questo post... uscite e filate a trovare Natascia e a comprare un sacco di libri (anche una copia di Mutamenti eh... :))) )...
Come dite?
Non sapete dov'è MarassiLibri?
Ma dove vivete???

Va bene... prendete carta e penna e segnatevi l'indirizzo:



  • via Casata Centuriona 31 r
  • 16139 Genova

Ok, adesso non avete più scuse... filate subito in libreria... !!!



lunedì 2 dicembre 2013

Mutamenti sbarca a Marassi

e poi succede così...
un pò per caso...
che ti ritrovi su un giornale...


ma allora è vero che gli angeli esistono...

vero Natascia???

Prossimamente:



https://www.facebook.com/MarassiLibri

sabato 5 ottobre 2013

Parte 2 – Sul Terzo Gradino

Il neon sopra la mia scrivania sfarfalla da due giorni, ho già avvertito il servizio manutenzione con l’apposita mail, ho seguito correttamente la procedura, ma sfarfalla.
Da due giorni.
Non due minuti, non due ore… due giorni.
Mi fa bruciare gli occhi, mi deconcentra, mi fa diventare scortese ed irritabile. Mi fa bere troppo caffè, poca acqua, mi contorce la lettura delle e-mail, mi innesca tic nervosi. Mi induce a tamburellare il dito medio sul bordo della tastiera, a picchiettare il piede sotto il tavolo, a toccarmi il naso settanta volte al minuto.
Spegnerlo è impossibile, l’interruttore comanda tutto l’open space e lascerei al buio gli altri colleghi.
Per questo motivo sono con un piede sulla sedia e uno sulla scrivania nel tentativo di aprire la plafoniera ed estirpare il lampo malefico.
Mentre lotto con la fredda lucciola tubolare, Marcon mi spia nascosto dai trentadue pollici del suo schermo e scuote il capo piano piano, la Signora Fantini, con il suo fare materno, mi regge la sedia per impedire alle rotelle di farmi fracassare sul pavimento. Pozzi e il rag. Strinati mi osservano da sotto dando consigli non richiesti, ridacchiando braccia conserte, come esaminatori alla prova di teoria per la patente.
“Ci vorrebbe un cacciavite a stella…”
“Prova più a destra” – e ancora – “No! Non così!”
Chi la dura la vince, così si dice, e la plafoniera lo sa. Lo sa meglio di me, infatti vince.
Ringrazio la Signora Fantini per l’aiuto, mentre i colleghi tornano alle loro postazioni. Lo spettacolo è finito e non ha soddisfatto il pubblico, a parte i dieci minuti di svago che ha donato. Il neon sfarfalla trionfante sopra di me.
Digito un acido sollecito via mail al servizio manutenzione, lo carico di livore intermittente, clicco il tasto invio e apro il programma di gestione delle buste paga.
Mi chiamo Lucio. Lucio Tavola. Ho trentacinque anni e da sei mesi lavoro come impiegato amministrativo in questo ufficio.
Sono single, porto le lenti a contatto, mi piacciono gli orologi di classe e il buon vino.
Faccio sport: nuoto, corro, pedalo. Non amo sciare, i social network, non ho un blog ne uno smartphone. Mi abbronzo d’estate, mi mangio le unghie. Adoro andare al cinema da solo.
Ho un buon rapporto coi miei colleghi, mi sono ben inserito. Pozzi, ad esempio, stamattina, appena mi ha visto con la sola camicia, mi ha portato alla sua postazione e mi ha allungato la “cravatta d’emergenza” che lascia appesa alla maniglia dello schedario.
Lavoro sodo. Sono serio ed affidabile, disponibile a trasferte, a straordinari non pagati, automunito, vaccinato e discreto. Laureato con lode, destro naturale, allergico al polline di faggio.
Sono puntuale. Sempre.
Quasi sempre. Mi viene da dire ora, che fisso la scatola di latta che mi è stata data dalla Signora Marisa.
L’ho posata nell’angolo cieco della scrivania, nessuno la può vedere, tranne me. Mentre nutro il programma con i suoi numeri ed i suoi codici di accesso, faccio scappare lo sguardo alle croste arrugginite e la mente, giocoforza, se ne va al singolare incontro di stamattina.
Non riesco ancora a capire come abbia fatto la simpatica vecchina a sparirmi sotto il naso, chiudendomi a chiave dall’interno, senza farsi vedere. Mi ripropongo di tornare a trovarla prestissimo, forse già stasera, restituirle le chiavi e a chiederle il perché di quel biglietto con su scritto “TROVALO”.
Ma trovalo chi? Cosa? E poi perché dovrei trovarlo io? E, nel caso, come?
Ripenso all’odore del suo caffè, a quella casa impolverata, ma pulita, al buio appena scalfito dalla luce che attraversa le tapparelle, alla stoffa logora e sporca che avvolge i rottami di quel revolver a “tutta la sua vita” in quella scatola di latta, che Marisa ha affidato a me.
Il software gestionale fa i capricci e, alle dieci in punto, pianta gli zoccoli a terra e raglia disperato. Si rifiuta di digerire le aliquote irpef e si pianta lanciando messaggi di errore a cascata.
Spengo il terminale e faccio al ragioniere il gesto del caffè. Pollice ed indice della mano destra ad afferrare un ipotetico manico di tazzina e due colpetti secchi, come a suonare un campanellino d’argento, con le altre tre dita in scala reale come penne maestre dell’ala di un’aquila. Strinati scatta in piedi e mi raggiunge, per lui ogni pretesto è buono per fare pausa.
“Mi sono iscritto in palestra sai?” – esordisce drizzando inavvertitamente la spina dorsale – “ho deciso di puntare sullo spinning”
“Puntare sullo spinning per fare cosa?”
“Beh per tornare tonico, buttare giù la pancetta da ragioniere, evitare il tracollo, insomma” – e, chinando il capo, sorride triste.
Strinati non l’ho mai visto ridere di gusto. Mai visto allegro o addirittura felice. A dire il vero, non l’ho mai nemmeno immaginato felice.
Gli do una bella pacca sulla spalla e gli dico: “Allora! Ragioniere! Smettiamola coi piagnistei! Non sei mai stato tonico! Goditi la vita e non stressarti” – ed una bella risata scioglie la tensione e volta pagina su temi più leggeri e tollerabili.
La varietà delle cialde per il caffè, la generosità del principale, la maestosità dello stadio di San Siro, il nuovo record del mondo sui diecimila metri, la sterminata bellezza dell’Africa, le prossime vacanze di Strinati a Cattolica.
La pausa passa in un attimo e Strinati, curvo sotto un invisibile canotto rosa a pois verdi, se ne torna mesto al suo posto.
Io riordino lo spazio comune, getto il mio bicchiere di plastica nel cesto della plastica e le briciole dello snack di Strinati in quello dell’umido. Mi incammino verso il computer nella speranza di trovarlo resuscitato.
Dalla finestra socchiusa sento distintamente arrivare il canto malinconico di una tromba duettare con un pianoforte. Sembra Passalento, sembra Paolo Fresu, ma non è possibile.
Impossibile anche che provenga dall’ufficio dove la musica è vietatissima, più probabile che sia un’autoradio di passaggio. Proseguo nel corridoio cercando di ricordare le parole che una volta sentii accompagnare quelle note, ma non ci riesco. Buio totale.
Ad tratto un piccolo flash, una percezione lucida e al tempo stesso fugace. Sulla porta del bagno, nel mio ufficio, in uno stabile blindato da due filtri di sicurezza, ho visto Marisa. Mi ha sorriso e fatto “ciao ciao” con la manina.
Torno indietro. Riguardo bene. Non c’è più. Ho le visioni? Mi prende l’ansia.
Torno alla sala caffè, guardo il cesto della plastica, quello dell’umido e ripercorro il corridoio fino al bagno: Marisa non c’è. Sospiro di sollievo.
Entro nel bagno degli uomini e scarico la tensione e, a seguire, l’acqua. Mi insapono accuratamente le mani e me le sciacquo con l’intento di lavare via la tensione per tutte queste strane, misteriose coincidenze. Strappo la striscia di carta assorbente e mi asciugo finalmente le dita, il palmo, il dorso delle mani.
Un altro strappo.
Sul rotolo, con la stessa educata calligrafia del biglietto di stamane, trovo scritto a matita “AIUTAMI”.
Sembra uno scherzo, ma inquieta come un incubo.
Nel bagno non c’è anima viva, fuori nessuno ridacchia e grida “Sei su scherzi a parte!”, tutto sembra procedere come sempre. Tranne per me.
Qualcuno, che non so chi è, mi chiede aiuto a trovare non so cosa.
Non capisco la logica di tutto questo, mi preoccupo perché perdo i punti di riferimento.
Eppure a non avere e soprattutto a non dare punti di riferimento dovrei esserci abituato…
Mi chiamo Lucio. Lucio Tavola. E’ il mio nome da sei mesi.
Per due anni mi sono chiamato Massimo Cavoli, per un lustro Luigi Scevola, ancora prima Giovanni Antimo, Luciano Pegolo, Bruno Minimo, …
Scelgo sempre cognomi sdruccioli, probabilmente perché saltano. Proprio come faccio io: mai troppo nello stesso posto, mai troppo nella stessa vita.


http://maialeimmaginario.wordpress.com/

sabato 21 settembre 2013

Sul Terzo Gradino (Parte 1)


Ho dimenticato di mettere la cravatta.
Questa mattina evidentemente la mia anima si sente casual ed io non posso che vestirmi di conseguenza.
Sono seduto al mio solito bar, quello con le grosse sveglie nere sui tavolini.
Ho preso il mio centro tavola ed ho spostato le lancette sulle sei e quaranta. 
A quell’ora mi ha svegliato il sole: rosso e prepotente ha bruciato i nuvoloni neri, bassi sull’orizzonte, e mi ha incendiato la camera da letto. Forse è lui ad aver sussurrato alla mia anima di non mettersi la cravatta. Consumo una colazione come tante, cappuccino con fiorellino di cacao e cornetto alla crema di pistacchio. Sempre quella, sempre buona ed efficace.
Percorro con passo ozioso, che non mi riconosco, la via di casa, con lo scopo di andare a recuperare l’auto e andare al lavoro. In piedi sull’uscio, davanti al civico 18, si è fermata una vecchina.
Ha i capelli bianchi raccolti sulla nuca, gli occhiali con il cordino ed il grembiule da brava massaia. È in piedi sul terzo gradino e, solo grazie a questo sopralzo, riesce a guardarmi dall’alto verso il basso.
Mi segue con lo sguardo mentre mi avvicino, con occhio prima attento, poi incredulo e mi sorride.
Poco prima che io passi oltre lei mi dice: “Buongiorno”.
Lo dice con una voce carica di una speranza ritrovata che, non conoscendo la signora, non riesco a decifrare.
Mi fermo ad un passo da lei e le sorrido il mio buongiorno di cortesia.
“Fermati a prendere un caffè” – mi dà del tu – “solo un attimo, per favore”.
Io non ci sono abituato alla gentilezza, alla vita di paese, alla confidenza nell’estraneo. Tutt’altro. Vivo in trincea e non rivolgo mai la parola agli estranei, a meno che non mi occorra. Sono un paladino dell’efficienza, del rapporto costo/beneficio, dell’Utile e non del dilettevole, non è nella mia natura accettare un siffatto invito.
Eppure.
“Si, grazie” - mi sento rispondere – “molto volentieri”. Apro il cancello e salgo i tre gradini.
Ancora combattuto sul dare retta o no alla mia anima senza cravatta, mi trovo seduto in sala ad un tavolo rotondo, con una tovaglia bianca fatta all’uncinetto, coperta da una spessa pellicola di plastica trasparente.
Altre tre sedie vuote, identiche alla mia, mi tengono compagnia nel mio disagio incerto.
Vedo la mia faccia riflessa nel grande specchio dell’armadio che occupa la parete davanti a me. Con un’espressione tra lo smarrito ed il divertito osservo la sala, in attesa che la simpatica vecchietta torni qui. Alzo le spalle al me stesso riflesso e conto le vetrinette delle credenze in legno scuro, che riempiono il vuoto del locale.
Una pendola gocciola il tempo alle mie spalle. La poca luce che filtra, gioca con le tende e odora di legno, di bomboniere di antichi matrimoni, di fiori seccati come il ricordo che rappresentano, di tappezzeria dignitosa, ma da cambiare. Il divano è foderato della stessa stoffa delle sedie.
La mia ospite è di là che rovista in un qualche armadio, a giudicare dal sommesso baccano che sento, e mi chiedo cosa faccio qui. Seduto nella penombra con la promessa di un caffè.
Quando riappare dal corridoio, aggiustandosi i capelli, porta tra le mani una scatola di latta quadrata e, nell’aria, una leggera ventata di lavanda e naftalina. Mi sorride triste e, posando la scatola sul tavolo, la tocca con l’indice e dice: “E’ tutta la mia vita”.
Me lo dice negli occhi, con i suoi che sono lucidi, sospira e sparisce in cucina con un allegro: “Preparo la moka!”
La scatola è di latta arrugginita, alta cinque centimetri, di una spanna di lato. Una volta doveva essere smaltata di blu, con una elegante scritta in carattere goticheggiante giallo-ocra. Adesso ha un colore grigio dorato e diverse macchie di ruggine la offendono nel coperchio e sui bordi, rendendone incomprensibile la lettura. Dell’originale disegno si scorge solo un paesaggio, alcune figure in abiti di inizio Novecento, una città, un fiume e nulla più.
“Grazie di cuore di aver accettato il mio invito” – dice tornando dalla cucina con la zuccheriera – “Sono letteralmente anni che nessuno passa a visitare questa casa. E comunque… Marisa. Piacere caro: il mio nome è Marisa Colombo”
“Signora Marisa, la ringrazio di cuore. A me non capita spesso di accettare inviti del genere. Solitamente sono… come dire… piuttosto sgarbato”
“Oh! Non dica così! Si vede che è un bravo ragazzo!” – dice la Marisa, mentre si rintana in cucina – “Lei è una brava persona! Glielo si legge nel cuore!”
I miei occhi indugiano su quella latta chiusa. L’invito surreale e la mia innata curiosità mi urlano di aprire, ma la buona educazione mi impone di frenarmi. Quasi a leggere nel mio pensiero, Marisa torna con le tazzine e mi dice: “ Aprila pure. E’ tutta la mia vita. Apri.” 
China leggermente il capo sulla sinistra e tira su le spalle: “Tra poco il caffè viene su” – e torna di là, lasciandomi solo con il misterioso bottino.
Devo fare forza per far saltare il coperchio. La ruggine ha saldato la latta e fa resistenza. Riesco ad aprire senza troppo rumore. Dentro alcune cianfrusaglie che, lì per lì, non metto a fuoco.
Poso il coperchio da una parte e mi avvicino la scatola. Ricordume. Poche anticaglie, “tutta la sua vita” fanno capolino dall’interno.
La mia attenzione viene attirata da un piccolo, ma pesante involto di stoffa sudicia, forse un lembo di vestito da donna, bianco a fiori lilla, che avvolge ferraglia.
Con religiosa delicatezza apro lo straccio, piega per piega. Il peso dice il vero, si tratta di ferraglia. Per la precisione ferraglia militare. Una pistola. Smontata pezzo per pezzo. La poso con cautela.
Nessuna traccia di proiettili. Dalla cucina, incredibilmente, sento arrivare l’attacco di “Kashmir” dei Led Zeppelin.
Proseguo l’esplorazione. Un mazzo di lettere ingiallite e scritte in bella calligrafia. Il “Marisa mia diletta…” che invariabilmente le apre lascia intendere che siano di un innamorato. Forse il marito? Uno spasimante? Sulla prima una data del 1942. In fondo al mazzetto la foto di un uomo ritratto a mezzobusto. Sono sue le lettere?
Di sughero tondo e corroso dalla salsedine, appare un vecchissimo galleggiante per pesca. Dal residuo di vernice se ne riesce immaginare il migliore aspetto che doveva avere in origine. Giallo e arancione.
Completano il pacchetto: tre bottoni in bakelite e un mazzo di chiavi che sembra molto più recente rispetto ai suoi compagni di scatola.
Improvvisamente mi sento uno spione e, mentre Kasmir decolla, mi alzo e vado incontro al profumo di caffè che arriva dalla cucina. Marisa non c’è. Spengo il fornello e mi chiedo come sia possibile. La cucina non ha altre uscite oltre alla porta che sbuca in sala.
La chiamo, ma non risponde. E’ vecchia, potrebbe non sentire, potrebbe essere stata male. “Marisa! Dove sei?” Kashmir finisce, Marisa non salta fuori.
Cerco nelle altre stanze, le finestre sono sbarrate, la luce spenta, le porte chiuse. E’ sparita e non so come.
Torno in cucina e, cercando di ragionare, mi verso il caffè. Solo adesso noto il biglietto di carta con l’appunto scritto a matita: “TROVALO”.
Tossisco, sputacchiando il caffè, e scappo verso la porta, tento di aprirla, ma è chiusa a chiave.
Sono bloccato all’interno.
L’istinto mi scaraventa sulla scatola di latta, afferro le chiavi e torno alla porta, che stavolta si apre.

Prendo la scatola, il suo contenuto e scappo via.



on Twitter: @Aure1970        maialeimmaginario.wordpress.com

sabato 7 settembre 2013

2° Edizione di #Mutamenti

  



Riveduta, corretta e con qualche piccola sorpresa, non perdetevi la 2° Edizione di Mutamenti.



Prefazione

Come fa uno (uno che non è del mestiere, tra l'altro) ad agganciarti e trascinarti per un mezzo migliaio di pagine con un tiro pressoché costante fino alla fine? Non lo so, ma lui ce l'ha fatta. E, credetemi (ve lo dice uno che ha scritto abbastanza), non è affatto facile; non è facile neanche in un racconto di sessanta pagine, figuratevi in questo garbuglio spaziotemporale, in cui, dicevo, lui (il maledetto Ghioni) vi trascina. E ci riesce mentre, intanto, vi frastorna il cervello con centinaia di migliaia di riferimenti neuroarcaici, psicomutageni, tecnomitologici, sopravviventrascendentali, avviluppati in un destino oracolare in cui i protagonisti sono autori e nel contempo vittime, sospinti da una narrazione (anzi, di più narrazioni) costellate di agganci, oggetti, presenze e situazioni che si ricatapultano in se stesse. E tutto questo non è che una piccola parte del racconto. Già perché tutto questo (almeno a mio modo di vedere) non che che...il teatro per raccontare una storia d'amore (che però nel contempo è anche una domanda filosofica sulla nostra presenza di esseri nel mondo). Tutto qua? Direte voi. Niente affatto, perché la suddetta storia d'amore è la più incasinata che si possa immaginare. Cioè, oltre ad essere incasinata di suo, per il profilo psicologico dei personaggi, il maledetto Ghioni pensa bene di incasinare la vita di questi due poveri cristi in un contesto che supera di gran lunga l'inverosimile, il fantastico, il surreale e il pazzesco. Ah, dimenticavo: il tutto, ovviamente, raccontato con una logica rigorosissima e con la capacità analitica del chimico. Beh, se non siete già stati un paio di volte in vacanza in qualche altro livello di realtà non vi consiglio di leggerlo.


Anentodio Friulzi (Flacca) alias Marco Vimercati




Acquistabile qua: http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=846809




PROSSIMAMENTE NELLE PEGGIORI LIBRERIE

martedì 3 settembre 2013

#Mutamenti e la recensione di #Scrittevolmente




Ecco a voi fresca fresca l'ultima recensione di Mutamenti...
Qua sotto la riporto integralmente, ma se non vi fidate la potete trovare sul sito di Scrittevolmente o semplicemente cliccando QUA!!!


Notare le stelle please!!!!


Titolo: Mutamenti
Autore: Fabio Ghioni
Editore: ilmilibro.it
ISBN: 2120008468096
Fomato: Cartaceo (copertina morbida)/Ebook
Lingua: Italiano
Numero pagine: 601
Prezzo: 22,00 €
Genere: Sci-Fi/Distopia
Voto:

Trama: Come ci comporteremmo se risvegliandoci scoprissimo che la città in cui viviamo è completamente deserta? Amici e parenti scomparsi, svaniti senza lasciare una traccia e, soprattutto, senza una ragione apparente. E’ a questa domanda che i due protagonisti (un uomo e una donna) dovranno provare a dare una risposta. Sullo sfondo di una Genova incantata, magica e onirica, incubi e paure metteranno a nudo le vite dei protagonisti mentre gli occhi di misteriosi esseri di un lontano futuro scrutano…


Recensione: 
Non è mia consuetudine assegnare voti così alti, specie a romanzi lunghi come Mutamenti. Se mi sono sbilanciato nel porre quattro stelle a Mutamenti è solo perché quello di Fabio Ghioni è un bel romanzo, uno di quelli che ti lasciano qualcosa senza di errori di ortografia e buchi di trama e parliamo di un libro di ben seicento pagine.
Lo stile di scrittura di Ghioni è molto descrittivo, cosa che ad alcune persone (me compreso) può dare molto fastidio. In alcuni casi l’autore sembra perdersi, in Mutamenti se uno dei protagonisti vede una scritta su di un muro inizia a parlarne per due pagine anche se quella scritta non ha nulla a che fare con l’intera storia. Non me la sono comunque sentita di punire l’autore per questo motivo: se l’avessi fatto avrei dovuto biasimare anche Tolkien e il mio amato Lovecraft.
Ghioni ha inoltre dimostrato d’aver avuto un coraggio senza eguali curando ogni minimo dettaglio dell’opera: si è interessato per la copertina e ha effettuato l’editing lui stesso. Ricordiamo che il romanzo conta ben seicentouno pagine e non aspettatevi troppi spazi e pagine bianche: sono tutte piene!
Parliamo della trama che, a dispetto di ciò che dicono molti, con Io sono leggenda non ha nulla a che fare. Da un lato seguiremo le vicende di Chiara e Andrea, due tizi che si ritrovano imprigionati in una Genova deserta, dall’altro quelle di Adan, l’osservatore che pian piano si ritroverà ad aver a che fare con gli altri due protagonisti. Ghioni avrebbe potuto tranquillamente dividere le due trame in due libri diversi piuttosto che portare entrambe le storie in un unico libro: anche questa scelta denota una particolare propensione al rischio per l’autore.
 

Nonostante le descrizioni (che, ripeto, per alcuni possono anche essere viste come un pregio) la trama scorre via che è un piacere e raramente il lettore si trova a confondersi, anzi… In alcuni punti, quando una storia viene interrotta per passare all’altra, può capitare di restarci male proprio perché non si vede l’ora di vedere com’è andata a finire.
I dialoghi sono abbastanza logici anche se consiglierei all’autore d’utilizzare meglio le dialog tag: mi è capitato un paio di volte di non capire chi fosse il personaggio che parlava nel gruppo.
Riguardo al genere direi che si di fronte a un libro di fantascienza che, pur non essendo minimamente ispirato al già citato Io Sono Leggenda, strizza l’occhiolino al compianto Matheson. Le scene d’azione, gli enigmi e persino le scene erotiche sono curate perfettamente.
Non sono rimasto pienamente soddisfatto del finale, un po’ prevedibile. Uno dei finali comunque fa venir voglia di leggere un seguito.
Insomma, c’è poco da dire, Ghioni è un ottimo scrittore, uno di quelli che non copia (al massimo cita senza troppi giri di parole opere famose) e che potrebbe tranquillamente divenire una stella in un panorama privo di veri talenti italiani. L’universo futuristico di Mutamenti (quello che si vede in una delle due storie narrate nel romanzo) non ha nulla a che fare con Star Trek, Battlestar Galactica o Guida Galattica per Autostoppisti, ci troviamo di fronte a qualcuno che senza ispirarsi ai romanzi sci-fi più famosi è stato in grado di sfornare una storia meritevole dell’acquisto.


Il Recensore: Commesso di un centro commerciale, si definisce mezzo nerd e mezzo dark-gothic depresso. Si è creato una doppia personalità chiamata Timejin che lo biasima. Odia la banalità e coltiva mille hobbies, da warhammer alla lettura fantasy-horror, dalla venerazione verso i suoi tre scrittori preferiti (Lovecraft, Poe e Kafka) ai videogames, dai giochi da tavolo al cinema, fino all’ascolto di circa una decina di generi di musica diversi (anche se il suo preferito resta il genere epic).
Ha pubblicato presso la Libro Aperto Edizioni il romanzo “Lo Spettro Morente” organizzando presentazioni in ludoteche e picnic vittoriani. Per il booktrailer del romanzo ha contattato tredici disegnatori più o meno noti chiedendo il permesso d’utilizzare una loro immagine, permesso che gli è stato accordato. Quando ha sentito che nel sito non si parlava di religione o politica si è subito offerto di collaborare.
Se volete un regolamento per un gioco da tavolo (sempre che vi dedichi quei dieci minuti necessari per creare il sistema di regole) o segnalargli romanzi con tema preferibilmente zombesco da recensire: spettromorente@gmail.com
Il suo sito è invece lafolliadelgiullare.blogspot.com.

http://scrittevolmente.com/2013/08/10/recensione-mutamenti-di-fabio-ghioni/
http://scrittevolmente.com/

venerdì 16 agosto 2013

Comfortably Numb


 





È finita.

Le sonde hanno esaurito la loro energia vitale e con essa il loro compito.
Io con esse mi appresto a disperdere la mia essenza nel vuoto Spazio di Nun.
Mentre, pixel dopo pixel, assisto al decomporsi della mia consolle virtuale, mi pare di udire in lontananza le note di una melodia lenta e calda.

Liquido mi abbandono lasciandomi cullare…


There is no pain, you are recading
A distant chip smoke on the horizon
You are only coming through in waves
Your lips move but I can hear what you're saying
When I was a child
I caught a flecting glimpse
Out of the corner of my eye
I turned to look but it was gone
I cannot put my finger on it now
The child is grown
The dream is gone
And I have become

Comfortably numb


 


Avviso per i Blognauti:

Questo brano è tratto da Mutamenti. Un piccolo estratto scelto in modo da rivelare poco o nulla a chi (sfortunello) non ha ancora avuto l'onore di leggere il magnificentissimo libro di "memedesimoFabioGhionipropriomestesso"...
 

lunedì 12 agosto 2013

Il #Caso, la #Sincronicità e i #Mutamenti






In questi primi giorni d'agosto ho avuto la prova inconfutabile e definitiva che il caso, il fato, le coincidenze, il destino, il culo, la sfiga, 

vabbè sì, insomma, chiamatelo un po' come volete, tanto ci siamo capiti, no?

dov'ero rimasto?
ah sì, parlavamo del caso... 
ecco, dicevo che sono stato testimone di un Avvenimento che ha dell'incredibile, del trascendete.... e che mi permette, con certezza assoluta, di affermare (facciamo URLARE) che: 



IL CASO NON ESISTE!!!


Ecco, l'ho detto/scritto...
Intercetto subito alle vostre obiezioni...

No. Non sono impazzito!
Si lo so... con la statistica possiamo spiegare tutto...
Possiamo dare un valore al verificarsi di uno o più eventi, questo è vero, ma credetemi è soltanto uno dei tanti inganni che la parte razionale del nostro cervello crea per spiegare l'inspiegabile. Un artificio per dare un senso a ciò che ci accade e che, per tempistiche o modalità, ci appare strano, impossibile, incongruo... un po' come deve essere accaduto agli uomini primitivi quando per giustificare il fulmine, il tuono il fuoco o la notte, iniziarono a creare il mito degli Dei...
In fondo non era forse Einstein che disse: "Dio non gioca a dadi"? Vedete, sono in buona compagnia... 

Ora non sto dicendo che il destino di tutti noi sia già scritto, tutt'altro... sto semplicemente dicendo che ciò che viviamo quotidianamente non è frutto del caso... ogni istante, ogni incontro, ogni avvenimento non è mai casuale... magari lì per lì non siamo in grado di comprenderne la portata... ma provate a pensarci, tornate indietro con la memoria... sono sicuro che ciascuno di voi ha già provato questa sensazione: magari avete avvertito solo una piccola vibrazione, un pizzicore, un attrazione, un prurito... oppure troppo presi e affaccendati a rincorre un tram, un treno o a evitare gli stress quotidiani non vi siete accorti di nulla... ma, credetemi, prima o poi  capirete l'importanza di ogni determinato Avvenimento... fosse anche un semaforo che non scatta o la visita a una grotta...

A me è successo qualche giorno fa...


Ecco.
Adesso devo terminare qua il mio post... stanno arrivando dei tizi vestiti di bianco...
Sono gentili. Insistono per mettermi una camicia tutta bianca che sa di pulito candore... è strana però... si abbottona dietro... bah, la moda... 

Vabbè... ora vi devo proprio lasciare. 
Sono stato troppo serio e, temo, assolutamente criptico e incomprensibile...

Vi lascio con un piccolo omaggio, un estratto di Mutamenti che forse potrà illuminarvi sull'argomento più delle mie odierne sconclusionate parole, oppure aggiungere nuovi e profondi dubbi sull'argomento... chi lo sa?

Il pezzo riguarda proprio il tentativo di Andrea e Chiara (NerA) di spiegare ciò che accaduto e ciò che sta loro accadendo... 

* * *

-  E se tutto ciò fosse spiegabile con la teoria della Sincronicità! -
- Cioè? - chiede colta di sorpresa.
- È un principio basilare della cultura orientale. Vedi, noi occidentali siamo sempre portati a ragionare secondo il principio di causa-effetto: l’evento A è causa di B e produce un effetto in B e in altri elementi a esso collegati. -
- Certo, tutto il pensiero filosofico occidentale è permeato da questo principio. È alla base del determinismo con cui siamo abituati a rappresentarci il modo e gli avvenimenti che lo compongono. - completa lei con trasporto insospettabile.
- Gli antichi cinesi non la pensavano così. Secondo loro ogni evento che accade nell’universo è legato agli altri da un legame di sincronicità appunto. L’evento A non necessariamente sarà causa di B ma A e B sono legati fra loro perché parte del ciclo di mutamento continuo. Se, secondo il modello di causa ed effetto C nasce da B, che a sua volta nasce da A ed esisteva prima di B, C e D, la visione sincronicistica dice che A, B, C e D possono comparire tutti insieme nel medesimo luogo. Tutti gli eventi sono il prodotto di una medesima situazione momentanea… - mi sono un po’ ingarbugliato.
- Sì, va beh, ma questo implica cosa? A parte far peggiorare il mio mal di testa intendo, eh? -

La adoro. Trattengo il respiro per un attimo e riprovo a farle capire il concetto.

- In parole povere, se hanno ragione i cinesi, è inutile ragionare secondo consecuzioni logiche tipo causa-effetto, ma dovremmo considerare ciò che ci è accaduto come qualcosa di più grande, qualcosa di cui siamo divenuti partecipi, ma senza che ci sia un diretto collegamento o causa.  -
Mi aspetto qualche replica acida, invece se ne esce con una domanda da un milione di dollari: “Quindi? Quanto dovremo rimanere ancora qua?”. 

Cazzo! Adesso la strozzo...



* * *



(to be continued)

Avviso per i Blognauti:

Questo brano è tratto da Mutamenti. Un piccolo estratto scelto in modo da rivelare poco o nulla a chi (sfortunello) non ha ancora avuto l'onore di leggere il magnificentissimo libro di "memedesimoFabioGhionipropriomestesso"...







NOTA A MARGINE SU "IL CASO NON ESISTE"


Proprio al momento di cliccare su "PUBBLICA"  ho scoperto che la pagina di google oggi è dedicata a Erwin Schrödinger e il suo celebre esperimento col gatto... chi ha letto Mutamenti, sa perché è importante...

Direi, quasi una prova del nove...




martedì 30 luglio 2013

Lavatrici e #Mutamenti




Alla congiunzione tra i quartieri di Prà e Pegli la vista del complesso delle Lavatrici mi strappa da questi pensieri. Un eco-mostro costruito negli anni ottanta. Il merito del soprannome Lavatrici - nome con cui tutti i genovesi identificano ormai da anni quest’obbrobrio di cemento - è dovuto alle grosse lastre di cemento con grandi fori a forma di rombo o di cerchio che sono poste sulla facciata come decorazione e che fanno assomigliare le palazzine ad oblò, appunto, di lavatrici. 

- Le lavatrici! - indico a Chiara in modo quasi automatico e involontario. Lo so che non è il momento di far futili conversazioni, ma non voglio neanche che nessuno dei due si perda in inutili contorsionismi mentali. Lei neanche mi guarda. Fa spallucce come a dire “Embhè?”.
- Chiunque si sia preso la briga di ricostruire Genova pezzo per pezzo evidentemente non ha badato a spese. Ha riprodotto anche le cose più orrende… - dico mentre la Smart - e noi con lei - scivola nel ventre della galleria che passa sotto il quartiere. Chiara tace.
- Lo sapevi che le Lavatrici non hanno finestre rivolte a sud, ovvero verso il mare? Il complesso è esposto interamente a est e a ovest, mentre la parte a sud è costituita da un’unica facciata di cemento. -

Adesso Chiara mi guarda con dipinta sul volto la stessa espressione di un barbaro hooligan intento a seguire un documentario sul coguaro dell’Amazzonia. Sembra non capire il perché di questo mio discorso. Volge gli occhi altrove, troppo presa da altri inconfessabili pensieri. Cercando di tenere a bada i miei di inconfessabili pensieri, continuo.

- Una leggenda metropolitana vuole che i progettisti si sarebbero ispirati ad un architetto Giapponese esperto nel costruire case-dormitorio per impiegati-schiavi di basso livello. La mancata collocazione di finestre a sud - quindi di vista mare - non sarebbe casuale, ma frutto di una precisa scelta, dettata da uno studio secondo il quale un operaio produce di più se vive con il paraocchi senza godere degli spettacoli della natura. - un brivido mi percorre la schiena.

Pensandoci bene, mi rendo conto di come la nostra vita, le nostre esistenze - o meglio le nostre ex-esistenze - non siano poi così libere come qualcuno vuol da sempre farci credere. Chiara riporta gli occhi fissi davanti a noi, incollati alla strada. Apparentemente pare non essere interessata alla mia conversazione. Forse neanche mi ascolta. Solitario, proseguo i miei pensieri, tenendomi ancora per un po’ lontano dal nostro invisibile confine. 
In fondo, rifletto amaro, siamo come piccole ostinate formichine...
Guardiamo il mondo da un grigio oblò di cemento che non ha neppure la vista sul mare...

 
(to be continued)

Avviso per i Blognauti:

Questo brano è tratto dalla Terza Parte di Mutamenti.

Un piccolo estratto scelto in modo da rivelare poco o nulla a chi (sfortunello) non ha ancora avuto l'onore di leggere il magnificentissimo libro di "memedesimoFabioGhionipropriomestesso"...




 

domenica 14 luglio 2013

Anche #Mutamenti va in vacanza




Ebbene sì...
Anche i grandi scrittori vanno in vacanza, figurarsi quelli scarsi come me... che c'è di male?
Un paio di settimane in un posto al top del sciogno (per dirla alla Crozz-iatrore) per tornare con "mille e non più mille" nuove idee...



Bello vero?
Prima o poi dedicherò un bel racconto anche a questo borgo incantato della Costa Azzurra...
Intanto godiamoci queste meritate ferie...

Mi raccomando: continuate a Mutare anche in mia assenza!!!

Se vedemmu...

A bientot...


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