sabato 21 settembre 2013

Sul Terzo Gradino (Parte 1)


Ho dimenticato di mettere la cravatta.
Questa mattina evidentemente la mia anima si sente casual ed io non posso che vestirmi di conseguenza.
Sono seduto al mio solito bar, quello con le grosse sveglie nere sui tavolini.
Ho preso il mio centro tavola ed ho spostato le lancette sulle sei e quaranta. 
A quell’ora mi ha svegliato il sole: rosso e prepotente ha bruciato i nuvoloni neri, bassi sull’orizzonte, e mi ha incendiato la camera da letto. Forse è lui ad aver sussurrato alla mia anima di non mettersi la cravatta. Consumo una colazione come tante, cappuccino con fiorellino di cacao e cornetto alla crema di pistacchio. Sempre quella, sempre buona ed efficace.
Percorro con passo ozioso, che non mi riconosco, la via di casa, con lo scopo di andare a recuperare l’auto e andare al lavoro. In piedi sull’uscio, davanti al civico 18, si è fermata una vecchina.
Ha i capelli bianchi raccolti sulla nuca, gli occhiali con il cordino ed il grembiule da brava massaia. È in piedi sul terzo gradino e, solo grazie a questo sopralzo, riesce a guardarmi dall’alto verso il basso.
Mi segue con lo sguardo mentre mi avvicino, con occhio prima attento, poi incredulo e mi sorride.
Poco prima che io passi oltre lei mi dice: “Buongiorno”.
Lo dice con una voce carica di una speranza ritrovata che, non conoscendo la signora, non riesco a decifrare.
Mi fermo ad un passo da lei e le sorrido il mio buongiorno di cortesia.
“Fermati a prendere un caffè” – mi dà del tu – “solo un attimo, per favore”.
Io non ci sono abituato alla gentilezza, alla vita di paese, alla confidenza nell’estraneo. Tutt’altro. Vivo in trincea e non rivolgo mai la parola agli estranei, a meno che non mi occorra. Sono un paladino dell’efficienza, del rapporto costo/beneficio, dell’Utile e non del dilettevole, non è nella mia natura accettare un siffatto invito.
Eppure.
“Si, grazie” - mi sento rispondere – “molto volentieri”. Apro il cancello e salgo i tre gradini.
Ancora combattuto sul dare retta o no alla mia anima senza cravatta, mi trovo seduto in sala ad un tavolo rotondo, con una tovaglia bianca fatta all’uncinetto, coperta da una spessa pellicola di plastica trasparente.
Altre tre sedie vuote, identiche alla mia, mi tengono compagnia nel mio disagio incerto.
Vedo la mia faccia riflessa nel grande specchio dell’armadio che occupa la parete davanti a me. Con un’espressione tra lo smarrito ed il divertito osservo la sala, in attesa che la simpatica vecchietta torni qui. Alzo le spalle al me stesso riflesso e conto le vetrinette delle credenze in legno scuro, che riempiono il vuoto del locale.
Una pendola gocciola il tempo alle mie spalle. La poca luce che filtra, gioca con le tende e odora di legno, di bomboniere di antichi matrimoni, di fiori seccati come il ricordo che rappresentano, di tappezzeria dignitosa, ma da cambiare. Il divano è foderato della stessa stoffa delle sedie.
La mia ospite è di là che rovista in un qualche armadio, a giudicare dal sommesso baccano che sento, e mi chiedo cosa faccio qui. Seduto nella penombra con la promessa di un caffè.
Quando riappare dal corridoio, aggiustandosi i capelli, porta tra le mani una scatola di latta quadrata e, nell’aria, una leggera ventata di lavanda e naftalina. Mi sorride triste e, posando la scatola sul tavolo, la tocca con l’indice e dice: “E’ tutta la mia vita”.
Me lo dice negli occhi, con i suoi che sono lucidi, sospira e sparisce in cucina con un allegro: “Preparo la moka!”
La scatola è di latta arrugginita, alta cinque centimetri, di una spanna di lato. Una volta doveva essere smaltata di blu, con una elegante scritta in carattere goticheggiante giallo-ocra. Adesso ha un colore grigio dorato e diverse macchie di ruggine la offendono nel coperchio e sui bordi, rendendone incomprensibile la lettura. Dell’originale disegno si scorge solo un paesaggio, alcune figure in abiti di inizio Novecento, una città, un fiume e nulla più.
“Grazie di cuore di aver accettato il mio invito” – dice tornando dalla cucina con la zuccheriera – “Sono letteralmente anni che nessuno passa a visitare questa casa. E comunque… Marisa. Piacere caro: il mio nome è Marisa Colombo”
“Signora Marisa, la ringrazio di cuore. A me non capita spesso di accettare inviti del genere. Solitamente sono… come dire… piuttosto sgarbato”
“Oh! Non dica così! Si vede che è un bravo ragazzo!” – dice la Marisa, mentre si rintana in cucina – “Lei è una brava persona! Glielo si legge nel cuore!”
I miei occhi indugiano su quella latta chiusa. L’invito surreale e la mia innata curiosità mi urlano di aprire, ma la buona educazione mi impone di frenarmi. Quasi a leggere nel mio pensiero, Marisa torna con le tazzine e mi dice: “ Aprila pure. E’ tutta la mia vita. Apri.” 
China leggermente il capo sulla sinistra e tira su le spalle: “Tra poco il caffè viene su” – e torna di là, lasciandomi solo con il misterioso bottino.
Devo fare forza per far saltare il coperchio. La ruggine ha saldato la latta e fa resistenza. Riesco ad aprire senza troppo rumore. Dentro alcune cianfrusaglie che, lì per lì, non metto a fuoco.
Poso il coperchio da una parte e mi avvicino la scatola. Ricordume. Poche anticaglie, “tutta la sua vita” fanno capolino dall’interno.
La mia attenzione viene attirata da un piccolo, ma pesante involto di stoffa sudicia, forse un lembo di vestito da donna, bianco a fiori lilla, che avvolge ferraglia.
Con religiosa delicatezza apro lo straccio, piega per piega. Il peso dice il vero, si tratta di ferraglia. Per la precisione ferraglia militare. Una pistola. Smontata pezzo per pezzo. La poso con cautela.
Nessuna traccia di proiettili. Dalla cucina, incredibilmente, sento arrivare l’attacco di “Kashmir” dei Led Zeppelin.
Proseguo l’esplorazione. Un mazzo di lettere ingiallite e scritte in bella calligrafia. Il “Marisa mia diletta…” che invariabilmente le apre lascia intendere che siano di un innamorato. Forse il marito? Uno spasimante? Sulla prima una data del 1942. In fondo al mazzetto la foto di un uomo ritratto a mezzobusto. Sono sue le lettere?
Di sughero tondo e corroso dalla salsedine, appare un vecchissimo galleggiante per pesca. Dal residuo di vernice se ne riesce immaginare il migliore aspetto che doveva avere in origine. Giallo e arancione.
Completano il pacchetto: tre bottoni in bakelite e un mazzo di chiavi che sembra molto più recente rispetto ai suoi compagni di scatola.
Improvvisamente mi sento uno spione e, mentre Kasmir decolla, mi alzo e vado incontro al profumo di caffè che arriva dalla cucina. Marisa non c’è. Spengo il fornello e mi chiedo come sia possibile. La cucina non ha altre uscite oltre alla porta che sbuca in sala.
La chiamo, ma non risponde. E’ vecchia, potrebbe non sentire, potrebbe essere stata male. “Marisa! Dove sei?” Kashmir finisce, Marisa non salta fuori.
Cerco nelle altre stanze, le finestre sono sbarrate, la luce spenta, le porte chiuse. E’ sparita e non so come.
Torno in cucina e, cercando di ragionare, mi verso il caffè. Solo adesso noto il biglietto di carta con l’appunto scritto a matita: “TROVALO”.
Tossisco, sputacchiando il caffè, e scappo verso la porta, tento di aprirla, ma è chiusa a chiave.
Sono bloccato all’interno.
L’istinto mi scaraventa sulla scatola di latta, afferro le chiavi e torno alla porta, che stavolta si apre.

Prendo la scatola, il suo contenuto e scappo via.



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sabato 7 settembre 2013

2° Edizione di #Mutamenti

  



Riveduta, corretta e con qualche piccola sorpresa, non perdetevi la 2° Edizione di Mutamenti.



Prefazione

Come fa uno (uno che non è del mestiere, tra l'altro) ad agganciarti e trascinarti per un mezzo migliaio di pagine con un tiro pressoché costante fino alla fine? Non lo so, ma lui ce l'ha fatta. E, credetemi (ve lo dice uno che ha scritto abbastanza), non è affatto facile; non è facile neanche in un racconto di sessanta pagine, figuratevi in questo garbuglio spaziotemporale, in cui, dicevo, lui (il maledetto Ghioni) vi trascina. E ci riesce mentre, intanto, vi frastorna il cervello con centinaia di migliaia di riferimenti neuroarcaici, psicomutageni, tecnomitologici, sopravviventrascendentali, avviluppati in un destino oracolare in cui i protagonisti sono autori e nel contempo vittime, sospinti da una narrazione (anzi, di più narrazioni) costellate di agganci, oggetti, presenze e situazioni che si ricatapultano in se stesse. E tutto questo non è che una piccola parte del racconto. Già perché tutto questo (almeno a mio modo di vedere) non che che...il teatro per raccontare una storia d'amore (che però nel contempo è anche una domanda filosofica sulla nostra presenza di esseri nel mondo). Tutto qua? Direte voi. Niente affatto, perché la suddetta storia d'amore è la più incasinata che si possa immaginare. Cioè, oltre ad essere incasinata di suo, per il profilo psicologico dei personaggi, il maledetto Ghioni pensa bene di incasinare la vita di questi due poveri cristi in un contesto che supera di gran lunga l'inverosimile, il fantastico, il surreale e il pazzesco. Ah, dimenticavo: il tutto, ovviamente, raccontato con una logica rigorosissima e con la capacità analitica del chimico. Beh, se non siete già stati un paio di volte in vacanza in qualche altro livello di realtà non vi consiglio di leggerlo.


Anentodio Friulzi (Flacca) alias Marco Vimercati




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martedì 3 settembre 2013

#Mutamenti e la recensione di #Scrittevolmente




Ecco a voi fresca fresca l'ultima recensione di Mutamenti...
Qua sotto la riporto integralmente, ma se non vi fidate la potete trovare sul sito di Scrittevolmente o semplicemente cliccando QUA!!!


Notare le stelle please!!!!


Titolo: Mutamenti
Autore: Fabio Ghioni
Editore: ilmilibro.it
ISBN: 2120008468096
Fomato: Cartaceo (copertina morbida)/Ebook
Lingua: Italiano
Numero pagine: 601
Prezzo: 22,00 €
Genere: Sci-Fi/Distopia
Voto:

Trama: Come ci comporteremmo se risvegliandoci scoprissimo che la città in cui viviamo è completamente deserta? Amici e parenti scomparsi, svaniti senza lasciare una traccia e, soprattutto, senza una ragione apparente. E’ a questa domanda che i due protagonisti (un uomo e una donna) dovranno provare a dare una risposta. Sullo sfondo di una Genova incantata, magica e onirica, incubi e paure metteranno a nudo le vite dei protagonisti mentre gli occhi di misteriosi esseri di un lontano futuro scrutano…


Recensione: 
Non è mia consuetudine assegnare voti così alti, specie a romanzi lunghi come Mutamenti. Se mi sono sbilanciato nel porre quattro stelle a Mutamenti è solo perché quello di Fabio Ghioni è un bel romanzo, uno di quelli che ti lasciano qualcosa senza di errori di ortografia e buchi di trama e parliamo di un libro di ben seicento pagine.
Lo stile di scrittura di Ghioni è molto descrittivo, cosa che ad alcune persone (me compreso) può dare molto fastidio. In alcuni casi l’autore sembra perdersi, in Mutamenti se uno dei protagonisti vede una scritta su di un muro inizia a parlarne per due pagine anche se quella scritta non ha nulla a che fare con l’intera storia. Non me la sono comunque sentita di punire l’autore per questo motivo: se l’avessi fatto avrei dovuto biasimare anche Tolkien e il mio amato Lovecraft.
Ghioni ha inoltre dimostrato d’aver avuto un coraggio senza eguali curando ogni minimo dettaglio dell’opera: si è interessato per la copertina e ha effettuato l’editing lui stesso. Ricordiamo che il romanzo conta ben seicentouno pagine e non aspettatevi troppi spazi e pagine bianche: sono tutte piene!
Parliamo della trama che, a dispetto di ciò che dicono molti, con Io sono leggenda non ha nulla a che fare. Da un lato seguiremo le vicende di Chiara e Andrea, due tizi che si ritrovano imprigionati in una Genova deserta, dall’altro quelle di Adan, l’osservatore che pian piano si ritroverà ad aver a che fare con gli altri due protagonisti. Ghioni avrebbe potuto tranquillamente dividere le due trame in due libri diversi piuttosto che portare entrambe le storie in un unico libro: anche questa scelta denota una particolare propensione al rischio per l’autore.
 

Nonostante le descrizioni (che, ripeto, per alcuni possono anche essere viste come un pregio) la trama scorre via che è un piacere e raramente il lettore si trova a confondersi, anzi… In alcuni punti, quando una storia viene interrotta per passare all’altra, può capitare di restarci male proprio perché non si vede l’ora di vedere com’è andata a finire.
I dialoghi sono abbastanza logici anche se consiglierei all’autore d’utilizzare meglio le dialog tag: mi è capitato un paio di volte di non capire chi fosse il personaggio che parlava nel gruppo.
Riguardo al genere direi che si di fronte a un libro di fantascienza che, pur non essendo minimamente ispirato al già citato Io Sono Leggenda, strizza l’occhiolino al compianto Matheson. Le scene d’azione, gli enigmi e persino le scene erotiche sono curate perfettamente.
Non sono rimasto pienamente soddisfatto del finale, un po’ prevedibile. Uno dei finali comunque fa venir voglia di leggere un seguito.
Insomma, c’è poco da dire, Ghioni è un ottimo scrittore, uno di quelli che non copia (al massimo cita senza troppi giri di parole opere famose) e che potrebbe tranquillamente divenire una stella in un panorama privo di veri talenti italiani. L’universo futuristico di Mutamenti (quello che si vede in una delle due storie narrate nel romanzo) non ha nulla a che fare con Star Trek, Battlestar Galactica o Guida Galattica per Autostoppisti, ci troviamo di fronte a qualcuno che senza ispirarsi ai romanzi sci-fi più famosi è stato in grado di sfornare una storia meritevole dell’acquisto.


Il Recensore: Commesso di un centro commerciale, si definisce mezzo nerd e mezzo dark-gothic depresso. Si è creato una doppia personalità chiamata Timejin che lo biasima. Odia la banalità e coltiva mille hobbies, da warhammer alla lettura fantasy-horror, dalla venerazione verso i suoi tre scrittori preferiti (Lovecraft, Poe e Kafka) ai videogames, dai giochi da tavolo al cinema, fino all’ascolto di circa una decina di generi di musica diversi (anche se il suo preferito resta il genere epic).
Ha pubblicato presso la Libro Aperto Edizioni il romanzo “Lo Spettro Morente” organizzando presentazioni in ludoteche e picnic vittoriani. Per il booktrailer del romanzo ha contattato tredici disegnatori più o meno noti chiedendo il permesso d’utilizzare una loro immagine, permesso che gli è stato accordato. Quando ha sentito che nel sito non si parlava di religione o politica si è subito offerto di collaborare.
Se volete un regolamento per un gioco da tavolo (sempre che vi dedichi quei dieci minuti necessari per creare il sistema di regole) o segnalargli romanzi con tema preferibilmente zombesco da recensire: spettromorente@gmail.com
Il suo sito è invece lafolliadelgiullare.blogspot.com.

http://scrittevolmente.com/2013/08/10/recensione-mutamenti-di-fabio-ghioni/
http://scrittevolmente.com/

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