mercoledì 12 giugno 2013

Di nuovi zombi e dintorni...



Dialogo sui massimi sistemi tra NerA e Andrea.

- E così, sei diventato uno zombi… - sentenzia a bruciapelo.
- Uno zombi? -
- E’ così che la Ely chiama i tipi come voi: zombi! Cervello fritto e cuore di plastica! -
- Uhm… Bella definizione. Dov’è che insegna questa Ely? -
- No… non insegna da nessuna parte, lavora da un’estetista… - fa lei incerta subodorando qualcosa.
- Ah, allora è una maestra di vita! - dico calcando acido le parole.

Lei capisce, accusa e ritorna all’attacco in una manciata di istanti.

- Sì, hai ragione è una Maestra di Vita - con la M e la V maiuscole - più di te e me messi assieme, o di qualunque altro professore, medico, psicologo o ingegnere. E’ inutile che fai tanto il sarcastico, è così. Prova a negarlo!!! Prova a negare che la tua vita è un fallimento, distrutta da incombenze familiari e dolorose rinunce. -
- Hai dimenticato il lavoro e l’essere pendolari! - aggiungo asciutto.
- Giusto! -
- Hai ragione. - dico sospirando senza staccare gli occhi dai suoi.

Lei mi restituisce uno sguardo intenso e carico di sfida.

- Mentre tu pensi a cosa fare in palestra, io passo il mio tempo a fare la spesa, cucinare e far fare i compiti a mio figlio. Mentre tu pensi a cosa metterti per uscire la sera, io litigo con mia moglie o, ancora peggio, taglio con un coltello lo spesso astio che ci separa, come se fossimo ormai individui estranei che hanno la disgrazia di vivere sotto lo stesso tetto. - un gusto amaro scivola giù dal palato. Decido di farmi ancora più male.
- Mentre tu scegli il partner per finire la notte sotto calde lenzuola, io scarico la tensione dialogando con finti amici su Facebook. Digerisco la cena grazie a potenti dosi di alcaseltzer e tento in vano di calmare i miei nervi con litri di camomilla. E sono ancora tra i fortunati; c’è chi ricorre allo psicologo e chi a farmaci. Chi a tutti e due… - tace grave. Proseguo.

- Mentre ti concedi un sonno ristoratore, io mi do in pasto a incubi e ansie, finendo spesso per passare una notte in bianco nell’indifferenza della mia famiglia. - capisco di avere il timbro della voce alterato.
Un misto di delusione e rabbia mi avvelena il sangue. Potrei aggiungere altro, ma lei mi ferma. Nei suoi occhi la maligna determinazione di poco prima sembra essere svanita.
- Scusa. - dice sinceramente costernata - Non volevo ferirti. -
- Tranquilla! Noi zombi non proviamo dolore! -

Lei incassa. Io proseguo. Ormai ho rovinato la serata.

- Su una cosa tu e la tua amica vi sbagliate. - drizza le orecchie.
- E’ vero, forse dall’esterno assomigliamo più a zombi che a esseri umani. Ma ti assicuro che non è così, almeno non è così per tutti. Mogli isteriche o figli viziati possono renderci la vita impossibile, avvelenarci il sangue, incatenarci ad astruse faccende domestiche, far divenire infernali e grigie innumerevoli domeniche, asfissiarci con infauste richieste o ansie gratuite, ma questo non vuol dire che siamo zombi, anzi. Abbiamo sogni, desideri, progetti, idee, emozioni … In una parola: vivi. Presi a calci, malconci, barcollanti, ma vivi. Più di quanto tu e la tua amica possiate pensare; forse anche più di voi, che vi muovete in una realtà sintetica e finta.-
Lo dico tutto di un fiato. Nei mie occhi lampi di sfida, come a dire: “Adesso tocca a te convincermi del contrario!”.
Mi scruta dubbiosa. Scuote la testa in modo strano, come a scacciare pensieri sgradevoli. Alla fine rivolgendo la sua attenzione altrove mi dice con voce rotta:

- Forse hai ragione tu. - replica con tono amaro.

Adesso è il suo turno.

- Posso essere libera di organizzare le mie giornate o le mie nottate scegliendo, se capita, di cambiare uomo ogni volta che voglio, ma il sapore di sconfitta e di disgusto che provo giornalmente non mentono. Tu dormi al fianco della persona che ami - o hai amato - e con cui hai costruito qualcosa. Io mi trovo a fianco sconosciuti, vuoti involucri che cercano in me solo un corpo da desiderare e usare come un oggetto alla moda e di cui, il mattino dopo, neanche mi ricordo il nome. -

- Posso fingere di divertirmi, di essere libera, di desiderare qualcuno o qualcosa, ma sono consapevole che non sempre è così. Fingiamo di divertirci perché gli altri si divertono, o forse fingono anche loro. Ci illudiamo di essere liberi, di poter fare quello che vogliamo, ma non è così. Fingiamo di desiderare, ma ci accorgiamo che i desideri non sono i nostri, ma quelli inculcatici da una pubblicità, da un marchio o da uno spettacolo TV. In una spirale di finzione fingiamo di fingere, divenendo schiavi di un’assurda macchinazione. Per rimanere al top ci droghiamo, ci impasticchiamo. Proteine, vitamine, stimolanti, calmanti, trattamenti estetici. Primi azionisti di farmacie e centri estetici. Inebriati, ci svegliamo quando è troppo tardi, quando il mozzicone che è la nostra vita è già stato calpestato da troppa gente e siamo ormai da buttare. - 

I suoi occhi si velano mentre il silenzio cristallizza il mondo attorno a noi.


La magica armonia che si era creata tra noi si è ora dissolta del tutto. Rimaniamo per lunghi istanti in silenzio senza saper più cosa dire. Lei continua a fissare un punto oltre le mie spalle. Quando le lacrime si fanno troppe per essere trattenute, si alza di scatto ed esce sulla terrazza. Io rimango indeciso. Inebetito. Un po’ dall’alcool, un po’ dalla situazione. Sento montare su un senso di spiacevole frustrazione; la pericolosa “ciucca malinconica”.
Fuori l’aria sembra essersi fatta decisamente poco estiva. Trangugio il fondo amaro del mio bicchiere e la raggiungo cercando di far meno rumore possibile per non spaventarla. Il suo sguardo contempla la città vista da una delle feritoie delle mura di guardia. Sotto di noi la fontana di Piazza De Ferrari sembra una piccola ruota da bicicletta con i raggi di liquida acqua. Con gesto delicato le metto il mio maglione sulle spalle. Lei tira su rumorosamente con il naso, accettandolo senza voltarsi. Con cautela le cingo la vita. Lei si dispone accogliente. Appoggio le labbra sui suoi capelli. Le narici si inebriano di un profumo che sa di buono: rosa e cannella forse.
Rimango così indeciso per un tempo che pare interminabile, lasciando che nelle mie orecchie “Born Slippy” risuoni ipnotica e feconda. Quando sento crescere dentro di me una pulsione troppo intensa, mi allontano con imbarazzo. Quasi di colpo. Chiara si volta per sincerarsi che tutto sia a posto. La rassicuro con lo sguardo. Le sfioro la mano in modo delicato e le dico: “Sarà meglio rientrare, inutile rimanere qua.”.
Annuisce. Si aggiusta i capelli, riprendendo per un attimo un finto vigore.

Il salone vuoto riempie entrambi di cupa tristezza. Inutile rimanere qua aggrappandoci a scampoli di normalità Inutile ingannarci. Così scivoliamo stanchi verso le scale, senza aspettare un cameriere con un conto che non arriverà mai. Un orologio segna mezzanotte in punto. I rintocchi della Chiesa del Gesù confermano gravi.
 

(to be continued)


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