-
Quante stelle ci sono ancora in cielo Andrea? - mi domanda Chiara con la stessa serietà
con cui Raffaella Carrà chiedeva ai telespettatori quanti fagioli c’erano in un
barattolo.
Mi
volto per guardarla. Ha gli occhi persi a fissare la sempre più scura volta
celeste. Un po’ interdetto decido di stare al gioco, magari vinco qualcosa.
-
Bella domanda. Se la memoria non mi fa difetto, credo che la stima fatta dagli
scienziati sia di un numero di stelle pari a circa dieci elevato alla venti. -
forse ventitré, ma che differenza fa?
-
Però… non pensavo fossero così tante… - sussurra quasi non riuscisse a
immaginarsi un uno seguito da più di venti zeri.
-
In realtà non è un numero così importante, sai? - non ce la faccio, è più forte
di me.
-
No? A me pare un numero quasi inimmaginabile… -
-
Sai cos’è il numero di Avogadro? -
-
No, dovrei, vero? -
-
Forse, ma si può vivere anche senza. Devi sapere che in chimica esiste il
concetto di mole. -
-
Indipendentemente dal composto chimico, una mole
è costituita sempre da un numero ben preciso di unità elementari, molecole o
atomi che siano. Un numero enorme pari a sei virgola qualcosa per dieci elevato
alla ventitré. Una mole coincide alla
quantità - ad esempio in grammi - di particelle uguale al peso molecolare della
singola molecola. - Chiara mi guarda come se fossi un marziano.
-
Ah, già… tu sei un chimico… - commenta con sarcasmo.
-
Per esempio, in diciotto grammi di acqua - una mole - ci sono sei per dieci
elevato alla ventitré molecole di accadueO.
-
-
Vorresti dirmi che in una bottiglia di acqua ci sono più molecole che quante
stelle nell’universo? - esclama stupefatta.
-
Esatto! Sembra incredibile, ma è proprio così. -
Ora
mi fissa indecisa, a mezza strada tra l’incredulo e l’ammirato.
-
E le stelle che stanno svanendo dove vanno a finire? - chiede con il naturale
candore di un bimbo nell’età dei troppi perché.
-
Nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma, forse qualcuno se ne
nutre, con la stessa semplicità con cui noi beviamo l’acqua da una bottiglia,
utilizzandola poi per i nostri scopi metabolici. - dico sorridendo.
-
Eppure a me pareva di aver sentito dire che le stelle fossero in numero
infinito. - insiste.
- Uhmm… Se così fosse perché il cielo
notturno è buio? A rigor di logica dovrebbe essere perennemente illuminato da
tante – infinite – lucine. - ribatto pronto.
I
suoi occhi mi fissano perplessi. Su questo non aveva mai riflettuto. Rido.
-
Paradosso di Olbers mia cara… -
-
Cioè? -
-
Nell’ottocento Olbers, che per inciso è stato anche un ottimo terzino sinistro
della nazionale tedesca, si pose proprio questa domanda… - Chiara coglie il
dettaglio anomalo e mi rifila un’occhiataccia.
-
Ok, ok. Era un astronomo, ma l’episodio giuro che è vero. Si dice che fu Poe -
sì, proprio Edgar Allan - a risolverlo per primo. In realtà per una soluzione
corretta si dovette attendere quasi un secolo. Fu l’astronomo Hubble in realtà
a scioglierlo confutandolo. Le prove del cosmo in espansione e la teoria del
Big Bang furono sufficienti per distruggere il paradosso. -
-
Le stelle quindi sono un numero finito e l’universo, espandendosi, lascia dei
buchi bui, giusto? - prova a ragionare cauta.
-
Più o meno è così. - annuisco.
Sento la pelle accapponarsi, ma faccio finta di niente.
Il silenzio ne approfitta e, perfido, si accomoda nuovamente tra noi...
(to be continued)
Avviso per i Blognauti:
Questo brano è tratto Terza Parte di Mutamenti.
Un piccolo estratto scelto in modo da rivelare poco o nulla a chi (sfortunello) non ha ancora avuto l'onore di leggere il magnificentissimo libro di "memedesimoFabioGhionipropriomestesso"...
Nessun commento:
Posta un commento