E così scappo via.
Riempio lo zaino di belinate e scappo via a
vagabondare in quest’assurdo teatrino di cartapesta. A volte immagino di
incontrare qualcuno dei nostri aguzzini, altre di scoprire un’impossibile via
di uscita. Chissà? Ancora finzioni, ancora utopiche illusioni.
Non ho mai una meta precisa, lascio che sia il caso a
decidere per me. Alla ricerca di qualcosa che ancora non ho compreso. In questo
peregrinare zingaro mi sento un po’ come i protagonisti di “Amici miei”. Io,
l’auto e il mio fedele zaino. Copia del mio indistruttibile Invicta compagno
di mille e più avventure. All’interno poche cose: una pistola, rigorosamente
scarica, un pallone di cuoio, una macchina fotografica e un binocolo. Tutto
qua. Non ho bisogno di altro. Sembra il corredo di un adolescente
rivoluzionario. Armi per combattere un nemico invisibile e oggetti per
divertirsi, dove il divertimento non c’e’ più.
Mi inoltro nelle fungose e sepolcrali viuzze della città
vecchia alla ricerca di luoghi, strade e pertugi che, per quanto possa sembrare
assurdo, non ho mai calpestato né visto. La fretta a volte, la paura di
perdermi o semplicemente di fare brutti incontri. Vicoli, crêuze, chiese e
palazzi medievali. La mia personale cartina del centro storico non conosce più
- o quasi - luoghi non visitati. Alla ricerca di niente, sfiorando
pericolosamente l’atteggiamento monomaniaco di chi, prima di morire, voglia
calpestare con i propri piedi ogni luogo della terra. Può anche essere. I primi
passi verso una perniciosa follia.
A volte sbatto in chiese di cui neanche sospettavo
l’esistenza. Fuse in muri di pietra, incastrate in case e palazzi, neanche
intuisci che esistono finché non ci sbatti dentro. Annunciate da labili indizi
rivelatori che solo l’iniziato o l’esperto archeologo possono decifrare
annusando l’aria attorno. Non importa quanto siano belle, importanti o
riccamente adornate. E’ l’emozione della scoperta che ti fa battere il cuore,
facendoti sentire come Howard Carter, l’egittologo britannico che scoprì per
primo la tomba di Tutankhamon. Sulla soglia indugio per lunghi minuti, come se
attendessi di entrare in sintonia con l’essenza stessa del luogo prima di
accedervi purificato. La decompressione dell’ateo che si avvicina, profano, al
sacro. Non sono qui per pregare, né per implorare pietà o aiuto. Pur avendo
ricevuto tutti i sacri sacramenti della Chiesa Cattolica, non pratico da anni e
non vedo perché dovrei farlo proprio ora, ostentando un inutile quanto sterile
e ipocrita devozione. Intendiamoci, non sono mai stato un baciapile, né intendo
convertirmi a un simile culto. Mi stupisco perfino di essermi lasciato sfiorare
dal solo pensiero.
Figurarsi, non ricordo più neanche una preghiera, né saprei
a chi rivolgerla, né perché poi. Quando mi sento pronto, entro, ma è un entrare
furtivo, quasi avessi paura di disturbare una liturgia che non va più in onda
da giorni. Qui il silenzio è più cupo che fuori, ma almeno è un silenzio
naturale. Un silenzio a cui sono - ero - abituato. Ciò nonostante mi muovo
cauto per non disturbare quest’armonia che perfino un cigolio delle scarpe o un
colpo di tosse potrebbe rovinare. Rimango in fondo in una mezza via tra il far
finta di concentrarmi per pregare e l’ammirazione per i capolavori d’arte
religiosa, incastonati in uno sfacelo brunito da troppa fuliggine. Quindi esco
a riveder la luce. Vagamente rinfrancato da questa scoperta che sa di
cattedrale nel deserto o di oasi perduta.
(to be continued)
Avviso per i Blognauti:
Questo brano tratto dal diario che il protagonista (Andrea) inizia a scrivere nella Terza Parte di Mutamenti. E' solo un piccolo estratto, scelto in modo da rivelare poco o nulla a chi (sfortunello) non ha ancora avuto l'onore di leggere il magnificentissimo libro di "memedesimoFabioGhionipropriomestesso"...
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